No.
Erano un diario.
Erano un diario.
Di quelli con la chiave che nascondi sotto al cuscino.
Cera tutto.
Cera tutto.
Ci potevi leggere tutto.
Erano il racconto di chi è sopravvissuto.
Ancora e ancora.
Di chi ha sofferto e gioito.
C’erano segni di battaglie qualche volta vinte, il più delle volte perse.
Cerano segnate tutte le cadute e tutte le volte che si era rimessa in piedi.
A guardarli bene ci vedevi anche l’ombra di un barattolo di colla,
quella sempre a portata di mano per ogni volta
che era stato necessario rimettere insieme qualche pezzo.
Fragili e stanchi.
C’erano segni di battaglie qualche volta vinte, il più delle volte perse.
Cerano segnate tutte le cadute e tutte le volte che si era rimessa in piedi.
A guardarli bene ci vedevi anche l’ombra di un barattolo di colla,
quella sempre a portata di mano per ogni volta
che era stato necessario rimettere insieme qualche pezzo.
Fragili e stanchi.
Li vedevi fragili e stanchi a volte.
E dolci.
E dolci.
Di quella dolcezza che resta indomita nonostante il disincanto.
Quella che non molla, che non molla mai.
Quella che cerca sempre e comunque il buono e il bello
anche se a volte deve scavare a mani nude.
No.
Quella che non molla, che non molla mai.
Quella che cerca sempre e comunque il buono e il bello
anche se a volte deve scavare a mani nude.
No.
Quelli non erano occhi.
Erano manoscritti antichi.
Erano anima.
Erano anima.
Erano pelle.
Erano chimere.
Erano viaggi.
Viaggi infiniti.
Viaggi del cuore.
Erano chimere.
Erano viaggi.
Viaggi infiniti.
Viaggi del cuore.
©Elisabetta Barbara De Sanctis
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