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mercoledì 13 giugno 2018

La morte, la fanciulla e il canto dei pioppi - Mirela Stillitano

Era mezzogiorno, da poco probabilmente. Era facile da capirlo, sebbene non avesse mai posseduto quell'aggeggio con il ticchettio che misurava la corsa degli anni sul polso. L'aveva visto in televisione, le rare volte che le fu concesso, e le sarebbe piaciuto toccarlo, porgerlo come un dono alle orecchie. Chissà se anche il tempo si fermava, quando smetteva di funzionare, se come per magia tutto si arrestava in una fotografia. Anche lei, certo anche lei si sarebbe fermata con il resto. Orrore, faceva spavento solo a pensarlo!
La luce del sole, alta e verticale era la bussola da seguire nel consueto giro randagio per i campi. Oltrepassò una breve fila di case antistanti le une alle altre, opposte fazioni di idee più o meno forti di miseria e sopravvivenza. Ora che ci pensava, tra quelle due a destra qualcuno possedeva dei buoi, era alquanto insolito da quelle parti. Tirò dritto, calpestando pigramente la terra bruciante al contatto con i piedi scalzi, andando avanti spinta da una forza irresistibile, ma l'aveva sentita altre volte, la sentiva sempre. Doveva camminare e andare, come se ogni giorno fosse un tentativo di evasione ben riuscito. La prigione l'aveva dentro, la trascinava e portava con sé, ma era ancora troppo presto per trovarla, almeno fino a pochi istanti prima che la luce di un sole qualsiasi le indirizzasse gli occhi sui filari di pioppi. Li amava, Dio quanto li amava! E un Dio c'entrava con quegli alberi, perché lei li sentiva cantare quando il vento li corteggiava con insistenza e questi agitavano dita che cambiavano colore dal verde all'argento. Non aveva mai creduto, nonostante le preghiere imposte e recitate a mani giunte, nonostante le minacce di un futuro infernale per i riottosi come lei. Tuttavia desiderava, contro i suoi dubbi e rifiuti, che un'entità diversa e migliore degli uomini esistesse, che si nascondesse lì, in quegli alberi sottili e gentili, che le rimescolavano lo stomaco senza ragione e la costringevano a provare qualcosa di drammatico e al tempo stesso doloroso e magnifico. Le cedevano le gambe, avrebbe voluto inginocchiarsi e giurare, per chi, per cosa, non lo sapeva. Giurare, non pregare, rappresentava una differenza non di poco conto. Voleva arrendersi, come a dire di essere pronta a servire un destino inutile, di accettare tutto, a condizione di restare lì a godere all'infinito dei suoi pioppi.
Sentì delle voci poco distanti. Diversi paesani entravano e uscivano concitati da un cortile. Non ricordava chi abitava lì, ma non poté fare a meno di avvicinarsi. Vide qualcuno asciugarsi la fronte con il dorso della manica consumata e grezza. Rimase davanti al cancelletto di legno, grezzo anch'esso, come lo era la pelle, gli sguardi di tutti i presenti. Chi aveva scordato di distribuire in quella valle, come in molte altre, una pennellata di bellezza, una limata di delicatezza, un tocco di morbida fragilità? Lo stesso Dio che si manifestava in quell'ululare del vento tra gli alberi? Il grande Padrone, cui dover obbedienza, per l'essere nati servi della fame, l'immenso Assente?
Poi la vide. Una veste bianca, con delle braccia distese per terra, pronte a spiccare il volo, a liberarsi del vestito e della vita. Era giovane, troppo giovane, forse poco più grande di lei. Eccola lì: la morte! Aveva scelto un modo insolito per presentarsi alla sua coscienza. Così bella, così arrendevole, abbandonata senza resistenza a ciò che doveva essere. Guardò i parenti e i curiosi disposti a cerchio e provò un sentimento nuovo.
Fate qualcosa! Non state fermi, fate qualcosa! Perché? Ma la voce le si strozzò in un miagolio ridicolo. Un uomo indicò le mani della ragazza. Le guardò anche lei. Sembravano aver ripreso colore. Fece un movimento del piede per avvicinarsi e notò che era gravato da un peso insostenibile. Urlava nella sua mente di andare per prestarle soccorso, ma il corpo non obbediva. Cercò gli occhi degli altri e non li trovò. Erano tutti ciechi, si trovavano là perché dovevano esserci, ma non avrebbero cambiato né sarebbero stati in grado di cambiare le cose. Pregavano e si battevano il petto, lei li imitò senza capire né aggiungere partecipazione. Le giungeva amplificato, isolato dal resto, solo il suono di qualche goccia che ancora scivolava dal secchio rovesciato, animato dal movimento impercettibile della mano della ragazza, che fino a poco prima l'aveva tenuto. Era arrabbiata, li odiava perché non comprendeva. Forse erano così affascinati dalla morte al punto di considerare il suo compiersi più importante dell'impedirne il compimento? Erano solo rassegnati, consapevoli di non potersi aspettare nulla di diverso. Quali miracoli andava chiedendo a chi era stato scagliato come un verme dal cielo sulla terra? Che altra prospettiva a chi non sapeva fare altro che nascere, strisciare, vivere solo nell’infima posizione degli ultimi, dei reietti, degli scarti?
Aveva gli occhi gonfi di pianto, ma non l'avrebbe fatto, non avrebbe cominciato quel giorno il tributo inevitabile di lacrime scritto per la sorte di ogni uomo. Ne aveva subito anche lei il fascino, forse perché si era presentata così, con una tragica giovinezza evaporata come acqua da un secchio sotto il sole d'agosto, e non l'avrebbe più scordata. Si era fulminata con il filo di una lampadina, ancora penzolante vicino alla carrucola, che tirava su l'acqua. Ironia delle ironie, aveva scelto una piccola vittima che fino ad allora aveva avuto un'esistenza immobile, per portarsela via con la scossa di una tempesta. La morte aveva il senso dell'umorismo, scoprì anche questo.
Decise di tornare a casa. La casa che non c'era, non ci sarebbe stata né allora né mai più, ma un luogo appena abbozzato dalle pareti, sufficiente ad essere racchiuso tra le braccia di qualcuno che l'amava, di altri che non ne erano capaci e che lei avrebbe impiegato anni a perdonare, per imparare ad amarsi a sua volta. Il sole si era già piegato sull'orizzonte, lasciando un fascio obliquo e sfumato sul fondo della collina. Come correva il tempo, come raggrinzivano in fretta i bambini, come andavano via presto i giovani, come tremavano i vecchi sopravvissuti!
L'avrebbe voluto un orologio al polso, l'avrebbe aperto per trattenere la lancetta delle ore, che sembrava la più scortese e cattiva. Si voltò, dando le spalle ai pioppi, parevano ancora chiamarla, ma era stanca, non avrebbe creduto più al loro inganno. Nella voce delle foglie ora sentiva il lamento di tutte quelle anime che sapevano pregare, ma avevano smesso di sperare, che nulla avevano da sognare. Nessun dio era mai stato lì.
Ne faceva parte, volente o nolente era una di loro. Eppure stava tra quelle vite senza nomi e senza volti come se fosse di passaggio e per quanto duro fosse attraversare quel mondo sapeva anche che l’avrebbe amato comunque, di un amore disperato, senza riserve e grato per ogni colpo inferto. Era nata con un difetto, non previsto in quella trama di dolore così perfetta.


Mirela Stillitano

martedì 24 ottobre 2017

Vieni, canzone - Mirela Stillitano

Un romanzo cura la ferita
una canzone la riapre, una poesia la ricuce
nella notte che scivola sulla bruma
e appesantisce il foglio sul quale torno
senza sapere a quale richiamo rispondo.
Vieni, canzone, accosta la bocca
non percepisco la nota.
Lascia che colga tutto di un suono
che non proferisce nulla, ma illumina
sulla sorte dell' uomo buono
solo per farci letteratura.
Tenete stretti i lembi, squisiti dolori
celati dalla sottana superba dei versi.
Anche oggi ho scordato ago e filo.
Chiusi i bordi, come palpebre sugli occhi
adesso non resta che attingere
alla fonte di ogni scellerato amore
e dedicargli l'inizio
di tutto ciò che termina in sogno.


Mirela Stillitano

giovedì 28 settembre 2017

Settembre - Mirela Stillitano

Se potessi inventarti un nome, oltre quelli che già ti ho dato e che ti darò, per ogni momento vissuto con te, ti chiamerei Settembre.
Sei fine di momenti spensierati e felici, il vuoto che chiude lo sguardo malinconico rivolto al mare, prima dell'ultimo saluto. Prima del ritorno alla banalità della vita ordinaria, con la sensazione che lascia il termine di tutte le cose belle, di un'era che si chiude. Il sussulto che regala la prima foglia ingiallita che si posa sul davanzale della finestra. Il vento stanco che soffia forte, annunciando una nuova stagione, senza essere percepito da chi desidera ancora il sole. L'insofferenza ad affrontare il ritmo accelerato della città, le responsabilità, gli impegni, il frastuono di voci.
L' abbandono di lidi in quiete immobile e solitaria.
E sei principio.
Sei il raccolto di frutti, la mietitura, la vendemmia, l'entusiasmo e la paura di ogni nuovo inizio.
Il ritorno fra le cose care abbandonate, la gioia di ritrovarle ancora là. Il coraggio di affrontare l'attesa di giorni gelidi, il tepore di una casa che profuma di ricordi. La consapevolezza di una vita che attende la mia presenza.
Settembre, una via obbligata per maturare, lasciare sulle spiagge dell'esistenza il furore del mare e del mio modo di amare.
Settembre come riflessi di ricci di castagne che tingono i tuoi occhi... tanta armatura per proteggere un cuore delizioso, inacessibile a chi non ha la pazienza e la gentilezza di saperlo rispettare.
Settembre, come il tuo esistere che colora la mia natura irrequieta di rossore virginale.


Mirela Stillitano

giovedì 21 settembre 2017

Il diritto all'oblio - Mirela Stillitano




È così facile guadagnarsi 
il diritto all'oblio
nel libro lasciato 
in bianco che solo
l'amore più sublime 
poteva scrivere.

Mirela Stillitano






venerdì 1 settembre 2017

Les amants d’un jour - Mirela Stillitano

Non si ritrovano tra ritagli di giornale
o in una lettera, né in una foto che li renda
indimenticabili nella posa sorridente
al centro del ritratto di famiglia.
Passano con un balzo invisibile
dalla roccia al tratto leggero della matita.
Sul quaderno con la fodera sdrucita
sull'erba bagnata di bruma
su tutte le superfici, gli affetti, istanti
e dolori che abbiano la loro impronta
il nome di uno è ancora accanto all'altro.
Il futuro ignora i verbi dell'amore senza radici
gli infelici li consegna alla letteratura
e alcuni, che sconoscono le leggi
del tempo e della misura, li offre alla luna.
Ma è lì che sono nati, satelliti orbitanti
intorno al mondo estraneo
e vissuti e poi morti senza morire del tutto,
lasciando sospesa la gioia dell'incontro
e la grazia della parola.


Mirela Stillitano

giovedì 24 agosto 2017

Rimani - Mirela Stillitano

Rimani.
Soprattutto se non ne hai motivo, non puoi, non sai, non devi. Nessuno come me ti ha insegnato a cercare il cielo guardando in basso e io sono la giustizia sacrosanta di ogni gesto sbagliato. A te estranea, quanto tu a te stesso, siamo la bellezza e la sua mancanza di senso, il demonio nel fascino semplice del vino, bevuto sull'altare o in una sera di vergogna solitaria a svuotare più di un bicchiere. La brutalità inaccettabile della tenerezza e la volgarità nobile del sesso di confondersi con l'amore, così umano, così lontano dal divino. Così sincero nel servirsi di due corpi... e noi, creature da tenebre pallide partoriti, non siamo più false del vero, se tutto questo abbiamo vissuto, senza mai sfiorarci.
Rimani.
Ti ho reso troppo facile odiarmi e impossibile spogliarmi, se non strappando per cento giorni e cento notti, capelli, unghie e denti a tutte le donne che sono stata, pur di mentirti e convincerti di non meritarti.
Rimani.
Anche se non c'è più niente da raschiare sul fondo, nessun futuro oltre, o qualcos'altro da dire. Anche se sei colmo di sopportazione, se starmi lontano non è più sufficiente e una parte o l'altra di ogni continente non è mai abbastanza per prolungare la distanza.
Inganna la logica, ignora la causa, l'effetto e il suo difetto, inverti la matematica, capovolgi la fisica, ripudia i miti precostituiti, convertiti alla fede in te stesso, getta la bussola sociale. Falla a pezzi per me, compi la tua rivoluzione individuale!
Resta dove sei. Non un passo avanti, non uno indietro. Avremo il nostro limbo, il niente tuo e mio per cui maledirci e abbracciarci o lacerarci a morsi sfiniti di rimpianti i vestiti logori dei sogni naufragati.
Il tempo ha fretta di invecchiarmi, staccarmi dall'albero come frutto marcio e ripulirsi dei rami rinsecchiti. Ogni nuova stagione scuote le fronde, non c'è radice che possa trattenermi, ma vento che ha urgenza di sollevarmi in polvere.
Resta, ti prego, ma non fermarti dove non posso raggiungerti e varcare la soglia, toccarti e inchiodarti bacio dopo bacio per sempre al muro delle tue parole taciturne. Ti farei dolcissimo male, me ne faresti, perché sono il solo tuo bene, perché mi ami e non mi ami come dovresti, perché sono pura e solo tu puoi corrompermi. Perché mi hai, nonostante tutto, e non potresti.
Rimani.
Se un giorno dietro l'altro corri impazzito, amalgamato in un'altra vita, diviso a metà tra te e infiniti anonimi volti, ma continui a tenere l'orologio fermo al polso sull'ora in cui ti accorgi, che la sola cosa che ti tenga ancorato al mondo è il desiderio di sprofondare esausto nei miei occhi tristi.


Mirela Stillitano

sabato 19 agosto 2017

Nel palato del cielo - Mirela Stillitano

La felicità è averti
- e non dire -
toccarti e guardarti.
Consunto il ricordo
in un ultimo replay
noi due sconosciuti
nella dialettica di baci fluidi
siamo lingua che batte
nel palato del cielo
e non s'ode nulla
che un remoto balbettare
d'amore.
Mirela Stillitano

venerdì 11 agosto 2017

Più su esplode l'estasi - Mirella Stillitano


Non mi hai
non mostrare come trofeo
il mio spettro lascivo e indecente,
averlo è facile e inutile,
più su è la mia casa
più su esplode l'estasi.
Divorami
la mente.

Mirela Stillitano




giovedì 3 agosto 2017

Persefone immemore - Mirela Stillitano


Notturno tremito di foglie rendimi
il merito di essere chi sono, ora e sempre
nel mio cantare in solitario assolo
l'amore con la sua magnificenza
abbracciandone l'orrore:
Persefone immemore del tempo
per far ritorno alla luce degli uomini
ostinata a coltivare fiori tra ombre e anime.

Mirela Stillitano




mercoledì 19 luglio 2017

Silenzi a piene mani - Mirela Stillitano



Raccoglieremo silenzi 
a piene mani
dalla vita stanca 
di farsi interrogare
su cosa sia
questo nostro inutile cercare
la luce dentro al sole.

Mirela Stillitano




giovedì 22 giugno 2017

Sublime mattanza - Mirella Stillitano

Ho lasciato le chiavi al solito posto
un francobollo spedito, un talismano scaduto
una moneta seduta sulla croce, nella tua giacca
messo fuori il gatto che non abbiamo avuto
annaffiato il fiore di plastica appassito
fumato la fretta e bevuto l'attesa
seminato qua e là qualche lacrima
nel corridoio verde di mancata speranza
ordinato le scarpe che camminavano
insieme per la stanza spaiate e confuse.
Ho lasciato il cuore sul tavolo in cucina
dove gemevi stringendomi i fianchi
e la schiena sulla corteccia di un secolo.
In qualche chiasmo di piacere
devo aver dimenticato la gonna
troppo stretta delle mie idee
i pantaloni troppo larghi delle tue pretese
ma sono qui sulla soglia della vertigine
la voglia in transumanza dalla logica
a togliere la cenere di corpo e anima
fra lenzuola di sublime mattanza
ancora a cavalcioni della tua ira intima
accovacciata sul petto di chi chiamo amore
con la voce di ogni cosa innominata.


Mirella Stillitano

domenica 21 maggio 2017

Cuore di legno - Mirela Stillitano

Simile a qualcosa di divino non sei,
ma hai tutto il delirio corposo del vino
che langue nel bicchiere, sul limitare
d’una sera di fine estate.
Non ti invocherò al rintocco dei Vespri
non piegherò le ginocchia sull'altare
per inquisire la sostanza.
Siederò sulle tue senza cercare
la compassione dello spirito.
Lasciami essere creatura alata
con il cuore di legno.
Accoglimi, plasmata da costola e fango.
Stringi forte le mani - ti assolvo, amore -
intorno al collo reclinato in abbandono
e porta la bocca oltre il perimetro delle stelle
per bere goccia a goccia il sudore
del cielo capovolto in tumulto e spasmo.


Mirela Stillitano

martedì 16 maggio 2017

Quando la felicità poteva essere una susina acerba - Mirela Stillitano

Dove sedeva lei con il ventre colmo
sudata per l'interminabile crampo vitale
e non eri che un'ipotesi fino all'ultimo urlo
ti sei seduta anche tu
con in mano una susina acerba
e nell'altra un ritaglio di stoffa fiorita
strappato alla sua assenza.
Dove lui si è arreso in tutte le guerre
concesse a un uomo, ti sei fermata
più di una volta intestardita ad animare
un cucchiaio di legno, fingendo di non sentirlo
quando raccontava che in cielo
e in terra poteva somigliarti solo luna.
C'era poi la coscienza antica di ogni anima
che abbia varcato quella soglia
e spirò con te stretta fra le labbra
nell'ultimo desiderio a una nuvola
e gli altri che ad ogni passo nelle stanze
prendevano anni sui volti per sparire del tutto...
come dalle pareti di destini già scritti
sono svanite le tue minuscole impronte.

Mirela Stillitano

mercoledì 10 maggio 2017

L'amore non interroga | Mirela Stillitano | - Mary Z.

Erano straordinari
come una domanda senza senso
posta d'improvviso
nel discorso lineare del tempo.
L'uno amava quanto l'altro,
erano scarti o figli di quale dio?
Minore o maggiore di ciò avevano
per essere da soli la nota diversa
della stessa musica?
Non serviva l'amore per dare risposte.
L'amore non interroga, perché
di tutto dubita fuorché di se stesso.
Eppure, persistevano a credere
che fosse anche più di questo
e assomigliasse per una volta
a quel piacere unico di non avere più
nessuna certezza, che consumarsi
nel dubbio e dedicarsi da lontano tutto
fino all'ultima dolorosa
carezza della vita.


Mirela Stillitano

mercoledì 26 aprile 2017

Sai di felicità - Mirela Stillitano

Acqua di cielo,
sai di felicità, profumi di sale
nell'impeto del fiume
di abbracciare una goccia di mare
tu non hai l'eguale.
Torni indietro, non scorri via
con meravigliose mani da pianista
scivoli sul bianco e nero
di ogni mia emozione
ed io, tutta,
sono una canzone
per i tuoi occhi sordi.


Mirela Stillitano

Un tempo che non è stato - Mirela Stillitano

A chi
dedichi il mio tempo
adesso che foglie di pioppi
intrecciano monologhi d'argento
con il cielo che non è più nostro?
Socchiudo le palpebre
all'orizzonte che tramonta
su un viaggio incompiuto
un amore mai nato
un tempo che non è stato
il mio tempo con te.
E il silenzio si china aspro
su di noi
scende il sipario,
applauso ai vinti
ai coraggiosi sconfitti,
inchino al cuore dei semplici.
Nessuna replica
per chi ha confuso l'amore
con una scena
senza attore.


Mirela Stillitano

venerdì 21 aprile 2017

Uccidimi come sai - Mirela Stillitano

Vieni
pure a strapparmi il cuore,
affonda i tuoi artigli, mordi e divora
quello che resta di me.
Uccidimi come sai,
per aver portato la fiamma di un sogno
nel labirinto della tua realtà,
tira e spezza il filo di una salvezza
che non so cercare,
che venga la belva ferita dalla mia illusione
a cibarsi della felicità che non so
immaginare senza di te.
Lasciami sul bordo del fiume che scorre
indietro, raccogliendo in un gomitolo
il filo consunto della mia vita.
Eri il mio incauto incedere
ed ora ogni grido di gioia si immola in te,
parole non ne ho più da dire
e il mio canto diventa singulto.
Lo affido al vento che mormora al davanzale
della tua finestra, ancora,
una poesia di stelle e intona per me
la profezia dell'amore immaginato
così vero
da non essere creduto.


Mirela Stillitano

Guardami negli occhi - Mirela Stillitano


Tu guardami negli occhi
lascia che io mi veda nei tuoi,
fronte contro fronte
ti dirò che sei quanto di più caro
non possiedo.
Semplicemente, senza poesia
finirà il tempo delle parole
e sulla tua bocca dormirò
un sonno senza sogni.

Mirela Stillitano




lunedì 10 aprile 2017

Una domanda azzurra | Mirela Stillitano | - Mary Z.

Ripeti questa parola, scandiscila bene: trattenere.
Cosa ti fa immaginare il suono che produce? Quale ti arriva per primo?"
"Tra... te..."
Vedi? Puoi interpretarla in diversi modi.
Tenere tra te, in te, tra le tue cose più care,
ma anche tenere vicino a te, quasi implicasse una forza, una violenza.
Ed è possibile tenere in te, tra te, vicino a te,
qualcuno senza spostarlo dal suo spazio,
dal posto che occupa nella sua vita e contro la sua volontà?
A che prezzo, se l'amore richiede con prepotenza il sacrificio del tuo egoismo?
Chi è trattenuto non sta né in te né in sé, è in mezzo.
Dove c'è il vuoto.


Mirela Stillitano